I diritti delle madri lavoratrici in Australia

Se hai deciso di metter su famiglia o hai appena scoperto di aspettare un bimbo e ti trovi in Australia, sicuramente ti sarai già informati riguardo al congedo maternità e ai tuoi diritti pre e post nascita. Ma cosa succede una volta finito il congedo parentale e vuoi tornare al lavoro? Quali sono i tuoi diritti come madri (ma anche padri) lavoratrici in Australia? In breve, al tuo ritorno dal congedo di maternità, hai il diritto di riprendere lo stesso lavoro che hai prima e hai anche il diritto di richiedere accordi di lavoro flessibili, come il lavoro part-time o da remoto. Questi due diritti sono protetti dal Fair Work Act 2009, ma la triste realtà è che in anche in Australia, alcuni datori di lavoro non sempre li rispettano.

Un enorme terzo delle madri australiane riferisce di aver subito una qualche forma di discriminazione al ritorno al lavoro dopo il congedo parentale, secondo l’ultimo report nazionale della Commissione Australiana per i Diritti Umani sulla discriminazione correlata alla gravidanza. Questo è senza dubbio illegale: un datore di lavoro non può intraprendere “azioni negative” contro un impiegato per motivi di gravidanza, allattamento al seno o responsabilità familiari, o trattare l’impiegato “meno favorevolmente” rispetto ad altri dipendenti perché incinta o con responsabilità di assistenza verso familiari.

La discriminazione può assumere una serie di forme, inclusa la perdita di opportunità per una promozione o una valutazione delle prestazioni perché si sta per andare in congedo parentale; la negazione del congedo di maternità a cui si ha diritto; o pressioni per iniziare o finire il congedo prima o dopo di quanto si avrebbe voluto. Ma il “caso classico” della discriminazione legata al congedo di maternità è spesso che una donna ha preso il congedo e all’improvviso ha scoperto che il lavoro non c’era più.

Quindi vediamo insieme quali sono i diritti delle madri lavoratrici in Australia al rientro dal congedo parentale.

Diritto a tornare allo stesso lavoro

Un dipendente che è stato in congedo parentale (anche non retribuito) ha diritto a tornare al lavoro che aveva prima di andare in congedo. Questo diritto viene mantenuto anche se, al momento del rientro al lavoro, in quel ruolo c’è ancora un’altra persona. Se la dipendente è stata trasferita in una mansione sicura prima di prendere il congedo parentale (ad esempio perché il suo ruolo precedente includeva mansione non compatibili con la gravidanza o pericolosi per la sua salute) o ha ridotto l’orario di lavoro a causa della gravidanza, ha diritto a tornare al lavoro che aveva prima del trasferimento o della riduzione.

Questa “garanzia di ritorno al lavoro” si applica ai dipendenti che hanno lavorato a tempo indeterminato (che sia a tempo pieno o part-time) per il loro attuale datore di lavoro per almeno 12 mesi prima della data di scadenza, purché abbiano fornito notifica della loro intenzione di fruire del congedo parentale non retribuito. Le aziende di tutte le dimensioni devono garantire questo diritto. In caso di lavoratori a tempo determinato, purtroppo un datore di lavoro non ha il dovere di prolungare il contratto a tempo determinato di un dipendente in congedo parentale. Se il dipendente ha un contratto a tempo determinato e questo termina mentre è in congedo parentale non retribuito, il dipendente non ha diritto a riprendere lo stesso lavoro (a meno che un contratto di lavoro non disponga diversamente). Se il contratto a tempo determinato invece termina dopo il rientro dal congedo, il dipendente ovviamente ha il diritto di tornare allo stesso lavoro e finire di lavorare il contratto.

Licenziamento durante il congedo parentale

Se il lavoro di un dipendente non esiste più o è cambiato al suo rientro dal congedo, allora deve essere offerto un lavoro adeguato che:

  • rifletta le qualifiche e idoneità del dipendente, e
  • sia compatibili in termini di retribuzione e livello al vecchio lavoro

Un datore di lavoro può licenziare un dipendente in congedo parentale, purché si tratti di un licenziamento “genuino” (ovvero la posizione non è più richiesta) e purché il datore di lavoro faccia prima alcuni passi. Se un datore di lavoro decide di apportare modifiche significative al lavoro di un dipendente (ad esempio, allo status, alla retribuzione o all’ubicazione) mentre è in congedo parentale non retribuito, deve:

  • discutere questi cambiamenti con il dipendente
  • dare loro l’opportunità di parlare di questi cambiamenti, anche se in congedo.

Se invece il lavoro esiste ancora e qualcun altro lo sta facendo (il “dipendente sostitutivo”), se il datore di lavoro non ha consultato i dipendenti in merito al licenziamento o se il datore di lavoro avrebbe potuto ragionevolmente, nelle circostanze, affidare al dipendente un altro lavoro all’interno dell’attività del datore di lavoro o di un’entità associata, allora non si tratta di licenziamento genuino e il dipendente può intraprendere azioni legali.

diritti delle madri lavoratrici in Australia

Richiesta di modalità di lavoro flessibile

Secondo il Fair Work Act, alcuni dipendenti, come i genitori che hanno in cura figli di età prescolare e scolare e che hanno lavorato per lo stesso datore di lavoro per almeno 12 mesi consecutivamente, hanno il diritto di richiedere modalità di lavoro flessibili. Gli accordi di lavoro flessibili includono il lavoro a tempo parziale anziché a tempo pieno e la modifica degli orari di inizio e fine del lavoro o il lavoro da casa. Le richieste di modalità di lavoro flessibili devono:

  • essere per iscritto
  • spiegare quali modifiche vengono richieste
  • spiegare i motivi della modifica richiesta.

In merito a queste richieste, i datori di lavoro devono tenere in considerazione:

  • le esigenze del lavoratore,
  • le conseguenze per il dipendente se la richiesta non venisse accettata,
  • qualsiasi ragionevole motivo commerciale per rifiutare la richiesta del dipendente.

Tutti i datori di lavoro che ricevono una richiesta devono fornire una risposta scritta entro 21 giorni che indichi se la richiesta è stata approvata o rifiutata. I datori di lavoro possono rifiutare una richiesta solo per motivi commerciali ragionevoli e la risposta scritta deve contenere i motivi del rifiuto. Questi possono includere:

  • le disposizioni richieste sono troppo costose per il datore di lavoro, o
  • le modalità di lavoro degli altri dipendenti non possono essere modificate per soddisfare la richiesta, o
  • non è pratico modificare le modalità di lavoro di altri dipendenti o assumere nuovi dipendenti per soddisfare la richiesta, o
  • la richiesta comporterebbe una significativa perdita di produttività o avrebbe un impatto negativo significativo sul servizio clienti.

Allattamento al seno sul posto di lavoro

I datori di lavoro sono legalmente obbligati ad adottare misure ragionevoli per soddisfare le esigenze di allattamento al seno della madre e non sono autorizzati a discriminare sulla base del suo bisogno di allattamento (compresa la necessità di estrarre il latte). Mettere a disagio un dipendente per l’allattamento al seno, o non fornire strutture o pause adeguate, può costituire discriminazione e potrebbe anche essere una violazione delle leggi sulla salute e sicurezza sul lavoro. Supportare i dipendenti che allattano significa ad esempio assicurarsi che ci sia una stanza privata per l’allattamento al seno, un luogo in cui il dipendente può conservare un tiralatte e un frigorifero dove conservare il latte materno. Ai dipendenti dovrebbero anche essere concesse pause appropriate in modo che possano allattare o estrarre il latte.

Per far sì che il datore di lavoro abbia il tempo e l’opportunità per accomodare queste richiesta, è opportuno che la dipendente presenti le sue esigenze individuali con il suo manager o con il dipartimento delle risorse umane molto prima di tornare al lavoro. Più preavviso un dipendente può dare al proprio posto di lavoro, più tempo la sua organizzazione ha a disposizione per escogitare modi per soddisfare le sue esigenze”. Per chi non si sente a suo agio ad iniziare la discussione, l’Australian Breastfeeding Association ha risorse da scaricare, come questo modello di lettera.

Quando sporgere denuncia?

Per chiunque pensi di essere vittima di discriminazione sul posto di lavoro, il primo passo è sempre cercare di risolvere il problema direttamente con il datore di lavoro attraverso i loro meccanismi interni di risoluzione delle controversie. In generale, è sempre importante prendere appunti dettagliati di qualsiasi conversazione con il datore di lavoro in merito ai diritti sul lavoro e alle modalità di ritorno al lavoro in questo caso specifico. È buona pratica ad esempio, dopo qualsiasi riunione o conversazione, inviare un’e-mail al proprio manager per confermare quello che si è discusso a voce, e creare questa traccia cartacea aiuterà a rafforzare la propria posizione e richiesta.

Se però non si riesce a risolvere il problema attraverso i meccanismi interni del proprio posto di lavoro, in Australia è possibile presentare un reclamo presso un sindacato, un tribunale o il Fair Work Ombudsman. Se si ha successo, i risultati potrebbero includere una multa per il datore di lavoro, l’ordine di sottoporsi a corsi di aggiornamento o di modificare il proprio comportamento, o un risarcimento al lavoratore, a seconda della giurisdizione.


Essere genitori è estremamente difficile, farlo all’estero aggiunge elementi di stress e complessità, e quando a tutto questo si aggiunge anche il mondo del lavoro, con le sue peculiarità, diritti e doveri, è chiaro che il quadro che ci si presenta davanti è uno piuttosto complesso. Personalmente, quando ho scelto di avere figli mi sono informata sui diritti delle madri lavoratrici in Australia e so per esperienza che può fare un po’ paura affrontare l’argomento diritti e discriminazione, ma l’unico modo per tutelarti è essere informati e non tacere davanti ad atteggiamenti problematici e antiquati che limitano le donne sul lavoro.

Last Updated on 18/04/2024 by Diario dal Mondo

18 thoughts on “I diritti delle madri lavoratrici in Australia

  1. vedo che tutto il mondo è Paese…io ho dovuto lavorare fino a una settimana prima del parto (avrei dovuto lavorare fino al giorno prima ma siccome avevo un’ora di auto per andare e un’ora per tornare non riuscivo più a guidare e ho dovuto prendere ferie …).
    anche per l’allattamento ho dovuto rinunciare per vari motivi . purtroppo siamo ben lontani da poter godere dei giusti diritti

    1. Purtroppo può essere così. Io devo dire di essere stata fortunata con entrambe le gravidanze ma non è sempre così. Vedremo quando rientro da questa maternità

  2. Purtroppo, per esperienza personale, ti posso dire che anche qui in Italia non c’è una grande tutela verso le madri lavoratrici, specialmente se a progetto. Esattamente 12 anni fa l’azienda per cui lavoravo, non mi ha rinnovato il contratto dopo aver saputo che ero incinta! Non so se oggi la situazione sia lievemente migliorata!

    1. Che azione ignobile! Spero davvero che le cose siano cambiate nel frattempo in Italia ma so che alla fine molto rimane invariato!

  3. Complimenti per aver raccontato la spesso triste realtà che si dovrà a dover vivere e gestire chi decide di mettere al mondo un figlio . In questo caso sembra che l’Australia sia molto meno lontana dall’Italia di quanto sia in realtà .

    1. Io ho avuto figli solamente in Australia quindi non ho esperienza diretta in Italia, ma per quello che ho sentito raccontare da amiche e parenti, in entrambi i paesi ci sono state esperienze brutte di discriminazione. Io per fortuna ho avuto solo esperienze positive, ed è così che dovrebbe essere alla fine.

    1. Assolutamente! Non credo proprio che l’Australia sia il paese migliore da questo punto di vista, ma sicuramente meglio di molti altri!

  4. Non avrei mai pensato che questa spiacevole realtà si viva anche in un Paese come l’Australia… Quando il mondo darà alle neo mamme lavoratrici il gusto trattamento?

    1. Personalmente io qui ho avuto solo belle esperienze, ma ovviamente so che non è così per tutte e nel caso i diritti non vengano rispettati, bisogna farsi valere perché la maternità non può essere causa di distriminazione!

  5. Avendo lavorato da sempre nel settore pubblico, non ho esperienze dirette di discriminazioni nei confronti delle lavoratrici madri. Ma so che anche qui in Italia i datori di lavoro non sempre si comportano in modo corretto e creano problemi di diverso tipo. Che vergogna!

    1. Non penso che pubblico o privato faccia poi tanta differenza, anche perché purtroppo la maggior parte dei problemi nascono a livello manageriale, magari senza neanche che le cariche più alte ne siano a conoscenza.

  6. Che tristezza dover subire simili ingiustizie nel 2022, la donna lotta da sempre per i suoi diritti e spesso deve sopportare queste discriminazioni, chissà mai se in futuro si potrà dire addio a questi problemi, essere davvero libere di avere una famiglia e un ottimo lavoro

    1. Hai proprio ragione! Che siamo ancora qui oggi a parlare di questi problemi è assolutamente ridicolo, ma ahimè ancora troppe donne quasi nel 2023 devono scegliere tra maternità o carriera

  7. Non ho esperienze dirette, ma nel mio precedente lavoro mi è capitato di sentire alcune ex colleghe che, al rientro della maternità, si sono sentite dire che la loro posizione ormai era stata occupata da un’altra persona. Posso solo immaginare cosa significhi rientrare a lavorare con il carico di una persona che dipende completamente da te, per scoprire che praticamente il tuo lavoro non c’è più.

    1. Che gran tristezza che queste cose ancora succedano! Purtroppo ancora tante donne che sono vittime di questo genere di discriminazione non sono in grado (o non vogliono) di far valere i propri diritti e così i suprusi continuano!

  8. Purtroppo da noi, anche se la legge tutela le lavoratrici madri, i diritti non sono sempre rispettati. Ho visto spesso le mie colleghe tornare dalla maternità ed essere demansionate, mi sono sentita chiedere molte volte ai colloqui se avessi intenzione di avere figli. E’ sacrosanto informarsi sui propri diritti e farli valere anche se è faticoso e molte volte umiliante

    1. Concordo in tutto, lottare per i propri diritti è estenuante e non dovrebbe neanche essercene bisogno! Ma purtroppo pare che nel 2022 ancora si ritiene legittimo calpestare i diritti altrui per un vantaggio proprio!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.