Cosa ho imparato grazie al mio PhD

Da 3 anni è mezzo la mia vita ha avuto una costante (marito a parte): il mio PhD. Le case sono cambiata, il mio status civile anche, amiche sono venute e andate, ma lui mi è sempre rimasto accanto. Il mio dannato PhD! Abbiamo un rapporto complicato noi: vi avevo raccontato qui quali sono i lati negativi di questo progetto, mentre qui vi avevo parlato dei lati positivi che questo lavoro mi sta regalando. Il rapporto di amore e odio continua, ma ora che la luce in fondo al tunnel è visibile, voglio riflettere su quello che il mio PhD mi ha insegnato. Continue reading “Cosa ho imparato grazie al mio PhD”

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L’unione fa la forza

Il cielo è cupo e minaccia pioggia. Fa freddino rispetto al caldo di Milano dei giorni scorsi, ma niente in confronto al freddo che ho lasciato in Australia una settimana fa. Cammino  rapida lungo Steingasse, una splendida stradina pedonale sopra un Salzach grosso e agitato dopo le piogge dei giorni scorsi. In un attimo sono all’università di Salisburgo. L’atrio della facoltà di scienze sociali pullula di gente, dò il mio nome al banco registrazioni, mi riempiono di materiale e di una targetta col mio nome che non so mai dove mettere (usare la pinzella o la spilla da balia è sempre un dilemma) e mi mescolo alla folla. Continue reading “L’unione fa la forza”

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Girl power

Bionda, minuta, carina, femminile e delicata. Dall’aspetto fisico non le daresti una lira come ricercatrice e attivista. Poi la senti parlare e la mandibola ti crolla. Lei, bionda e minuta, che si trova egualmente a suo agio a vivere tra i guerriglieri nella giungla della Colombia, nel nord dell’Iraq o in un sobborgo di Londra. Lei, per cui il concetto di casa, diversità e di distanza assumono un significato tutto particolare. Lei, pronta a partire per nazioni come il Gabon o il Kirghizistan non perchè ci sia qualcosa in questi paesi che lei voglia vedere a tutti i costi, ma perchè di questi paesi non sa niente e vuole scoprire cosa possano offrirle. Lei, che è il mio mito. Lei è Johanna.

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Il ritorno in ufficio

Nella mia vita ho sicuramente fatto esperienze di studio e di vita molto interessanti e sono molto orgogliosa e felice del mio curriculum accademico e personale. Quello professionale però non è altrettanto entusiasmante. Essendo figlia della mia generazione, ho dedicato la maggior parte della mia vita sui libri e le poche esperienze lavorative che sono riuscita a fare sono tutte di breve durata, ritagli di tempo tra una sessione e l’altra, e/o si tratta di stage non retribuiti. I titoli di studio ci sono eccome, le lingue parlate pure, ma manca quell’esperienza professionale che mi faccia fare il salto in più.

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Frega il tuo prossimo come te stesso

Durante il mio anno di scambio negli USA eravamo circa 60 studenti stranieri nell’area del Puget Sound (Washington), di cui solo 6 italiani. Solo 6 su 60, nonostante fossimo la nazionalità più numerosa. Vivevamo in zone diverse dello stato e i trasporti pubblici in quella zona di America non erano granché; in aggiunta al fatto che non avevamo la libertà di andare dove volevamo, alla fine nel corso dell’anno ci siamo visti solo una manciata di volte. Ma nonostante questo, e nonostante all’epoca non avessimo un cellulare e non esistessero Whazzapp, Skype né Facebook (ma c’era il mitico MSN Messenger), nel corso di quell’anno così intenso e complicato abbiamo fatto grande affidamento l’uno sugli altri. Continue reading “Frega il tuo prossimo come te stesso”

Consigli pratici #5: come iscriversi a un PhD in Australia

L’Australia è l’Eldorado del nuovo millennio, la nuova America per tanti aspiranti emigranti… Ma l’Australia del 2015 non è né l’Australia né l’America del dopo guerra, quando chiunque era bene accetto e si poteva emigrare relativamente facilmente, a patto di potersi permettere il lungo viaggio. L’Australia del 2015 è molto selettiva e rigida per quanto riguarda l’immigrazione: non tutti sono i benvenuti, e anche quelli che lo sono devono comunque passare un lungo e complesso procedimento per passare da residenti temporanei a permanenti. I giovani e meno giovani italiani e stranieri che sognano di mettere radici Down Under sono tantissimi e per farlo sono disposti davvero a tutto. uno dei metodi più comuni per “comprarsi del tempo” e trovare nel frattempo un modo per rimanere, è quello di seguire un corso scolastico e ottenere dunque il visto studentesco. Solitamente però si tratta di corsi brevi, quasi professionali e che raramente risolvono il problema di come rimanere in Australia, però di solito durano solo un anno. Solo pochi i giovani e meno giovani che pensano a un percorso di studi più duraturo (e necessariamente più complesso), e dalle prospettive future molto più promettenti: sto parlando di Master e PhD. Oggi è proprio di quest’ultimo che voglio parlarvi.

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Perché fare un dottorato ricerca

Tempo fa vi avevo raccontato gli aspetti negativi dell’essere ricercatrice qui all’University of Sydney. Decisamente non tutte rose e fiori. La solitudine del lavorare da sola, a casa mia, senza nessuna direzione vera e propria è stata difficile da digerire nel corso degli anni. Soprattutto per chi non ha mai lavorato “da remoto”, come me. Ma non è tutto così nero. Oggi voglio spezzare una lancia a favore di questo “lavoro” e darvi i miei motivi sul perché fare un dottorato di ricerca.

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Il silenzio assordante delle mie giornate

Finito. Si è da poco conclusa l’ultima lezione del mio secondo corso di supporto al dottorato. Finalmente è finito. Una completa perdita di tempo, se proprio lo volete sapere. Ma non ho scelta, è un corso obbligatorio al fine di conseguire il dottorato. L’unica nota positiva è che mi costringeva ad andare in università e a passare due ore ogni mercoledì con alcuni dei miei colleghi. Sicuramente un cambio di routine positivo, dopo le lunghe giornate solitarie trascorse a casa. Chi l’avrebbe mai detto che quest’esperienza di ricerca si sarebbe rivelata così mentalmente difficile? Continue reading “Il silenzio assordante delle mie giornate”

Se avessi seguito le mie passioni…

… oggi non sarei qui a fare un PhD in legge… perché QUESTA passione per i diritti umani e la diplomazia è arrivata dopo, è stato un amore maturo che ho conosciuto dopo aver coscientemente rinunciato alla mia seconda passione, medicina. Oddio, forse chiamare medicina passione è una parola grossa: diciamo che per tanti anni sognavo di fare il medico, in particolare aspiravo a diventare pediatra. Forse perché da bambina/ragazza di ospedali ne ho visti tanti, forse perché di pronti soccorsi ne ho passati parecchi, ma in tutto questi di pediatri bravi, ne ho incontrati veramente pochi. Mi immaginavo moderna Patch Addams, a curare i bambini con un sorriso, una carezza e tanto amore. Mi immaginavo ad aiutarli con una passeggiata a cavallo, una nuotata con i delfini, una carezza a un coniglietto. I bambini e gli animali, QUELLE sono sempre state le mie passioni vere. Continue reading “Se avessi seguito le mie passioni…”

Omertà e silenzio? No grazie, non fa per me

Vengo da un paese dove fatta la legge, trovato l’inganno; dove se rispetti le regole sei uno sfigato, mentre se le infrangi o le raggiri sei uno furbo. Italia: un paese dove se parli troppo ti trovi con la casa o il negozio bruciato, e se denunci ti trovano in qualche campo con una pallottola in testa. Paese dove, almeno in alcune regioni, si applica la regola delle tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo.

Vivo in un paese di diritto, dove le leggi esistono e vengono rispettate; dove se infrangi le regole, non solo vieni beccato, ma vieni anche punito. Australia: un paese dove esistono appositi tribunali – gratuiti – a cui ci si può rivolgere se si viene trattati male o ingiustamente dal proprio padrone di casa o dal datore di lavoro. Paese dove nel 2012/2013, su 1.944 casi di evasione fiscale, 1.691 sono stati arrestati e/o multati.

E che succede se i due mondi si incontrano? Se un italiano nato e cresciuto in Italia, che ha conosciuto l’arte della fregatura, del raggiro e della frode, d’improvviso si trova a vivere in un paese che certe cose non le perdona, che non è così disposto a chiudere un occhio, ad accettare una mazzetta e a voltare la schiena. Che succede? Succede che questi italiani di prima, seconda o terza generazione, riescono a fare fortuna qui in Australia, raggirando la legge, evadendo i controlli e soprattutto approfittando dei tanti giovani italiani in cerca di lavoro, che non sanno niente sulle leggi australiane.

Come avevo già raccontato in questo post riguardo alla mia precedente avventura con gli “imprenditori” italiani in Australia, qui esistono i salari minimi, divisi per professione. Per legge un datore di lavoro non può pagare un lavoratore meno di quanto previsto dal proprio “award”. Punto e basta. Non ci sono scappatoie, non ci sono interpretazioni. Si tratta di un numero. Da rispettare. Semplice, no? A quanto pare no. A quanto pare per qualche (purtroppo tanti) datore di lavoro questo numero non è un obbligo, ma un solo consiglio. E così invece di pagare una barista o cameriera $21.86 l’ora, la pagano $17 (o anche molto meno in altri casi). Alcuni lo fanno totalmente in nero, con soldi in una busta e nessuna ricevuta, altri lo fanno (stupidamente?) “in regola”, con tanto di buste paghe e detrazioni di tasse.

E i lavoratori come reagiscono? Dipende. Questo genere di “imprenditore” agisce solitamente nel mondo della ristorazione, un’area che attrae soprattutto i giovani, e ultimamente soprattutto i giovani stranieri appena arrivati in Australia. Praticamente persone vulnerabili, ignoranti sulle leggi del mondo del lavoro e senza esperienza precedente in Australia. Persone che non hanno termini di paragone, che non hanno conoscenza del sistema legale australiano né dei propri diritti. Persone che non possono difendersi e hanno bisogno di lavorare. Persone, essenzialmente, disposte ad accettare di tutto. E questo è quello che fa la fortuna di questi delinquenti. Nessuno chiede niente, nessuno si lamenta, loro si mettono i soldi in tasca e stanno zitti, e lui intanto fa fortuna.

Ogni tanto però gli va male. Ogni tanto assumono una ragazza italiana, senza troppa esperienza alle spalle, pensando sia l’ennesima straniera ignorante e passiva, che accetti tutto senza battere ciglio. E si sbagliano di grosso. Perché io non sono quella persona. Io sono la persona che lotta per i propri diritti, che si lamenta se c’è un problema, e che ha il coraggio di far sentire la propria voce quando le cose non vanno come dovrebbero.

Purtroppo tutto questo ha un costo. Richiede coraggio, razionalità, costanza e impegno. E’ molto più semplice accettare la situazione, prendere quello che ti viene dato e non lamentarsi. Ma come fai poi a guardarti allo specchio? Come fai a stare in pace con te stessa sapendo che sei stata complice di un’impresa criminale? Io non ce la faccio. Io do il 100% al lavoro, faccio il mio dovere e anche di più, e mi aspetto che il mio datore di lavoro faccia altrettanto. Mi aspetto che almeno mi paghi quanto mi deve per legge. Purtroppo questo non è successo, ho avuto il coraggio di far sentire la mia voce e far valere i miei diritti, e questa volta il risultato sono state ripicche, aggressività e minacce in puro stile mafioso. Quello che posso dire, è che chi la fa l’aspetti. La ruota gira e prima o poi arriverà anche il tuo turno.

Gli immigrati, non australiani, devono adattarsi. Prendere o lasciare! Se non siete felici qui, allora andatevene. Non vi abbiamo costretti a venire qui, ma siete voi ad averlo chiesto. Avete voi domandato di venire in questo paese. Quindi accettate il paese che avete scelto o tornate nel vostro. (Ministro per l’Immigrazione Chris Evans)