Mancata integrazione

Dylan è ormai in Italia da un paio di mesi, ha cominciato il liceo e sta frequentando un corso di italiano messogli a disposizione da Intercultura. Ha ormai conosciuto buona parte della mia famiglia e si è ambientato in casa come non avesse mai vissuto altrove. Sicuramente per lui, così come per mia mamma e Little B, l’impatto culturale al suo arrivo è stato significativo, soprattutto considerando che Dylan non parla né l’italiano né l’inglese: la comunicazione è quindi molto difficile, le incomprensioni sono all’ordine del giorno, e i progressi sono molto lenti. Non c’è niente di strano o anomalo in tutto questo, anzi, è un processo molto comune soprattutto per gli studenti che non conoscono già la lingua del posto e che vengono da una cultura nettamente diversa. Questi studenti in particolare sono come bambini piccoli a cui bisogna letteralmente far vedere e spiegare tutto nei minimi dettagli. Non li si può lasciare soli un attimo, né si può fare affidamento su di loro, perché ancora non camminano sulle loro gambe. Nonostante non sia inusuale tutto ciò per uno studente straniero, per la famiglia ospitante tutto questo può diventare logorante e stancante.

Purtroppo, come vi dicevo nello scorso post, non è sempre facile accogliere uno studente straniero in casa propria, nè gli abbinamenti sono sempre azzeccati. Perché qui non stiamo parlando semplicemente di nomi, numeri e foto in un fascicolo, ma di persone con una propria personalità, un proprio carattere e delle proprie emozioni. E purtroppo a volte quando si passa da nomi, numeri e foto a personalità, carattere ed emozioni, qualche cosa non va come previsto. Lo studente che ci si aspettava sulla carta non corrisponde allo studente che arriva in casa nostra. Da qualche parte tra selezione e partenza qualcosa è uscito dall’asse, e il treno ha preso una direzione imprevista.

Ma di cosa sto parlando? Quali sono i problemi che Dylan sta affrontando e che stanno rendendo la convivenza con la mia famiglia problematica? Sono gli stessi che tantissimi studenti prima di lui hanno avuto, gli stessi studenti che non colgono a pieno il senso di quest’esperienza, e che non la vivono con il giusto spirito. Gli stessi problemi che io ritrovo in moltissimi miei connazionali che scelgono di vivere un’esperienza in Australia. Perché può cambiare l’età, può cambiare il paese di provenienza o quello di arrivo, ma certe cose non cambiano davvero mai.

E allora continuate qui per leggere quali sono secondo me i maggiori ostacoli all’integrazione in un paese straniero

 

Last Updated on 14/07/2021 by Diario dal Mondo

10 thoughts on “Mancata integrazione

  1. Povera stella, da un certo punto di vista è comprensibile, mio fratello ha pochi anni di più! Ma con i compagni non ha trovato punti in comune? Magari partendo proprio dai videogiochi…

    1. Parlando zero italiano e inglese è difficile comunicare con gli altri e poi lui preferisce stare a casa a dormire piuttosto che uscire….

        1. Diciamo che vengono preparati dal punto di vista psicologico a quello che potrebbe succedere, a come reagire in determinate circostanze, ecc. Ma ovviamente poi sta al singolo studente fare il possibile per integrarsi. In ogni modo, speriamo che le cose migliorino!

  2. Povero Dylan. Da un lato lo capisco, anche io a 16 anni sarei stata terrorizzata vivendo con degli estranei e in un paese straniero! Ed è davvero un peccato che non parli neanche un po’ di inglese. Detto questo, qua a Melbourne ho conosciuto parecchi studenti universitari stranieri ( post grad eh, non teenagers!) che si sono tranquillamente fatti 2-3 ANNI di università comunicando a malapena e senza migliorare un minimo!

    1. Esatto, qui in Australia ci sono italiani che vivono qui per anni e tornano a casa senza quasi aver imparato niente, perchè stanno sempre tra di loro! Nel suo caso però è un’esperienza davvero unica, che durerà solo 11 mesi e deve davvero cercare di migliorare il più in fretta possibile, perchè non ha tanto tempo…

  3. Povero Dylan… mi spiace un sacco! Come ti scrivevo nell’altro post nella mia esperienza di Intercultura mi sono trovata molto male con una famiglia e molto bene con l’altra. Come dici tu, da un semplice modulo non si puo’ sapere come sara’ la persona che si accoglie. Pero’ Dylan e’ solo in un Paese straniero senza amici, famiglia e conoscenza della lingua: ha bisogno di tutto l’aiuto possibile e sono sicura che la tua famiglia fara’ di tutto per darglielo, anche decidesse di non ospitarlo piu’.

    1. Sicuramente non è facile fare un’esperienza in un paese dove non si parla la lingua… ma purtroppo c’è un solo modo per risolvere questo problema: impararla! E passare tutte le proprie giornate dormendo o giocando al pc non è il modo più produttivo per migliorare… Detto questo, lui ha pur sempre 16 anni e si comporta da 16enne… Mia mamma fa di tutto per aiutarlo e speriamo (per il suo bene) di vedere miglioramenti presto!

      1. Sulla cosa della lingua, pero’, la prima a sbagliare e’ proprio Intercultura: ricordo che io prima di andare in Giappone mi sono messa a prendere delle lezioni ma la responsabile diceva che “tanto avrei imparato la’”… arrivata, sapevo dire poche frasi e leggere qualche parola, mentre tutti gli altri Italiani e studenti stranieri che erano li ne sapevano zero. Nessuno li aveva preparati, le famiglie non parlavano inglese e comunicare era impossibile nella maggior parte dei casi. Ricordo che la famiglia mi rimproverava spesso di passare troppo tempo con Americani, e troppo poco con loro, ad imparare la lingua; il che era vero, ma spesso il padre mi portava a cena con colleghi e io in un’intera serata capivo solo “grazie”, tanto che spesso mi chiudevo in bagno a piangere. Almeno con gli Americani potevo capirmi. E la seconda famiglia da cui sono stata faceva invece piu’ sforzi di farsi capire, anche usando l’Inglese, ed e’ andata molto meglio. Il discorso “tanto la lingua la impari” si puo’ fare se sei Italiano e vai in Spagna, e se parti in un Paese anglofono che tanto l’Inglese lo sanno tutti, ma se devi imparare una lingua asiatica (o viceversa, se sei asiatico) ti serve molta piu’ assistenza, anche prima di partire. (Detto cio’, non voglio generalizzare: io ho avuto assistenza zero e un corso di lingua del tutto inutile, magari ad altri va meglio! E spero che in dieci anni abbiano pure migliorato le cose)

        1. Hai ragione, sicuramente imparare la lingua sul posto senza un adeguato studio è molto complicato. Detto questo, Dylan ha pressochè zero conoscenza dell’inglese (oltre che non sapere niente di italiano), quindi la comunicazione è davvero difficile. In famiglia provano sia in inglese che in italiano, ma riescono a comunicare solo con l’aiuto del traduttore in cinese. Purtroppo penso che sapere per lo meno l’inglese in questo senso sia fondamentale, altrimenti ti precludi veramente ogni forma di contatto

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